“I Corridoi Umanitari dimostrano che è possibile pensare l’immigrazione in maniera diversa, più giusta, attraverso vie legali e sicure d’ingresso e un’accoglienza mirata sulla persona e sul nucleo familiare”. È una delle conclusione di un lavoro lungo quattro anni sui corridoi umanitari attuati da Caritas Italiana, condotto da Ilaria Schnyder, ricercatrice dell’Università di Notre Dame (US), che oggi è anche una mostra composta da foto, testi, contributi audio e altri approfondimenti, a disposizione di associazioni, Diocesi e istituzioni che volessero portarla nei loro territori. Il titolo è “Human Lines: anatomia di un’accoglienza” e parte da una serie di domande: Cosa significa accompagnare? Integrazione è sempre la parola giusta? Cosa è un clash culturale, si possono fare dei danni in buona fede? Qual è la giusta distanza nell’accoglienza? Un lavoro di sintesi a più livelli che consente di indagare la complessità propria del modello dei Corridoi, ma che si allarga a tutti i contesti di accoglienza e di incontro tra il nostro mondo e i nuovi arrivati. Una ricerca, condotta dall’esterno e quindi indipendente, che non celebra, e non lesina criticità con l’intento di proporre riflessione.
Il progetto si avvale del lavoro di Marida Augusto, Max Hirzel e Corrado Fileppo. “Si tratta di una ricerca valutativa, quindi anche nel racconto non sarebbe stato utile a nessuno celebrare questo modello – spiega la ricercatrice – bensì fare emergere punti di forza e criticità, andare in profondità nelle dinamiche di relazione. Operatori, rifugiati e volontari, sono così tante le persone e così alto il grado di coinvolgimento, che era per noi importante riuscire a restituire lo stesso livello di spessore, e che potesse essere utile per riflettere, e migliorare”. Ilaria Schnyder ha cominciato dal 2018 a seguire i Corridoi Umanitari, focalizzando l’attenzione sul modello proposto da Caritas Italiana per l’approccio peculiare al sistema di accoglienza, che va oltre al mero trasferimento di persone attraverso vie legali e sicure. Un sistema che mette al centro i territori e le comunità, rendendoli responsabili e protagonisti attivi dell’accompagnamento dei rifugiati. Ciò che rende la gestione più a misura di persona, ma anche più complicata nel momento in cui coinvolge più attori.
Non a caso la mostra è messa a disposizione delle comunità che volessero ospitarla; quanto emerge risulta infatti utile tanto per elaborare il vissuto di chi ha accolto, quanto per formare e preparare chi accoglierà in futuro, e più in generale è capace di stimolare riflessioni sull’incontro con l’altro, anche molto al di là dei Corridoi stessi.
Dal 2019, la ricerca è stata accompagnata da un lavoro di narrazione che si è protratto fino ad oggi: si chiama Human Lines il portale che ospita storie e analisi, ed La ricerca si è focalizzata sui corridoi in partenza dall’Etiopia tra il 2017 e il 2019 e comprende un raggio quanto mai ampio, per spazio e tempo: 45 Diocesi da sud a nord monitorate – pandemia permettendo – nell’arco di 4 anni. “Un’ampiezza longitudinale rara per una ricerca di questo tipo, che ha permesso di scandagliare la profondità e la varietà di situazioni e problematiche”.